Dello stesso autore

AZEALIA BANKS – 212 FT. LAZY JAY

Rotondità …

Rotondità anni trenta

Il desiderio dell’anima

“Cerca di sapere quale sia il desiderio dell’anima e adeguati ad esso. Va  dove ti porta l’anima.   Quanto l’anima persegue e’ la piu’ elevata sensazione d’amore che si possa immaginare. E’ questo il suo scopo. L’anima va in cerca delle sensazioni. Non della conoscenza, ma delle sensazioni. Possiede gia’ la conoscenza, ma la conoscenza e’ concettuale. Il sentimento e’ basato sull’esperienza. L’anima vuole sentire se stessa, e percio’ conoscere se stessa nelle proprie esperienze.  La piu’ elevata sensazione e’ l’esperienza  dell’unita’ con Tutto Quello Che Esiste. Questo e’ il grande ritorno alla Verita’ al quale anela l’anima. Questa e’ la sensazione del puro amore. Il puro amore e’ per la sensazione quello che il bianco e’ per il colore. Molti pensano che il bianco sia la negazione dei colori. Non e’ vero.  E’ l’insieme di ogni altro colore. Il bianco e’ tutti i colori che  esistono, combinati insieme.  Cosi’ anche l’amore, non l’assenza di ogni sentimento (odio, rabbia, brama, gelosia, desiderio), ma la somma di ogni sentimento. Ne e” l’insieme. L’intero ammontare. Il tutto. Quindi  l’anima per sperimentare l’amore perfetto  deve sperimentare  ogni sentimento umano. Come posso avere compassione per quello che non capisco? Come  posso perdonare in un altro quello che non ho mai sperimentato in me stesso? Cosi’ ci rendiamo conto a un tempo sia della semplicita’ sia dell’ importanza, tale da incutere reverenza, del viaggio dell’anima. Capiamo finalmente in cosa sia impegnata. ”

Tratto da:”Conversazioni con Dio. Un dialogo fuori dal comune. ” N.D.Walsh, Sperling & Kupfer editori, 1995

Anonimo del 700

” I nostri reciproci affetti vanno gelosamente custoditi come in monacazione di clausura, perchè interdetti siano all’esterno mondo degli estranei e agli atei d’Amore.”

Anonimo

Aprilità

The bough caresses
or whips aprilities:
the withdrawal of nothing
made sh-shining tics

*

In reticent spring skies
autumnal leaves, fragments
of far future events

 

Il ramo accarezza
o stimola aprilità:
il ritirarsi di niente
reso balbettìi lucenti

*

Nei reticenti cieli di primavera
foglie autunnali, frammenti
di remoti futuri eventi

Tratto da: “haiku. For a season. per una stagione”, di Andrea Zanzotto, Edited by Anna Secco and Patrick Barron, The University of Chicago Press, pg.7

“haiku. For a season. per una stagione”, di Andrea Zanzotto

“È la metà degli anni ottanta quando Zanzotto decide di misurarsi direttamente con gli haiku, con quei cristalli di apparente non-senso così ricchi di senso occulto e indefinibile, nella convinzione che il modo migliore per cercare di dar vita ad un’ analoga struttura «scandita su un primordiale bioritmo», si affidi all’ azzardo di scriverli in una lingua straniera, l’ inglese. Traducendoli in italiano soltanto dopo, in un secondo momento. L’ esito di quell’ azzardo è ora sotto i nostri occhi ed è luminoso. Gli haiku hanno al loro centro la natura. E il primo libro di Andrea si intitolava Dietro il paesaggio. Parafrasando quel titolo, si potrebbe dire che qui, in questi «pseudo-haiku», lo sforzo sia di cercare cosa si cela ‘ dietro il linguaggio’ , tenendo sempre, come bussola, la natura.”

di Franco Marcoaldi, tratto da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/18/la-natura-degli-haiku-secondo-zanzotto.html

Teach me how to be loved. Rebecca Ferguson

One foot onto the ice
I hold my breath
And try to believe
Can I look at you with different eyes?
Like the girl that I was, when I was 17

The fallen empires,
The shattered glass
The wicked echos of my past.
I’ve seen it all before, that’s why I’m asking.

Will you still be here tomorrow
Or will you leave in the dead of the night?
So your waves don’t crash around me,
I’m staying one step ahead of the tide.
Will you leave me lost in my shadows
Or will you pull me into your light?
Teach me how to be loved
Teach me how to be loved

I got caught up in a daze
Of the wine and roses
Such a sweet escape
But I watched it all slip away
Like running water from my hands
Raining on this picture land

The fallen empires,
The shattered glass
The wicked echos of my past.
I’ve seen it all before, that’s why I’m asking.

Will you still be here tomorrow
Or will you leave in the dead of the night?
So your waves don’t crash around me,
I’m staying one step ahead of the tide.
Will you leave me lost in my shadows
Or will you pull me into your light?
Teach me how to be loved

Can I give myself just one more second chance?
And put my trust in love,
Please don’t hurt me.
If I make myself like a feather in you hand
And put my trust in love,
Please don’t hurt me.

Will you still be here tomorrow
Or will you leave in the dead of the night?
So your waves don’t crash around me,
I’m staying one step ahead of the tide.
Will you leave me lost in my shadows
Or will you pull me into your light?
Teach me how to be loved
Teach me how to be loved

Un piede sul ghiaccio
Trattengo il respiro
E provare per credere
Posso guardarti con occhi diversi?
Come la ragazza che ero, quando avevo 17 anni

Gli imperi caduti,
Il vetro in frantumi
Gli echi malvagi del mio passato.
Ho visto tutto prima, è per questo che sto chiedendo.

Vuoi essere ancora qui domani
Oppure vi lascerà nel cuore della notte?
In modo che le onde non si infrangano intorno a me,
Io rimango un passo avanti della marea.
Vi lascerà mi ha fatto perdere nelle mie ombre
O mi tira nella tua luce?
Insegnami come essere amati

Sono stato coinvolto in un daze
Del vino e delle rose
Tale sweet escape
Ma ho visto scivolare via tutto
Come l’acqua corrente dalle mie mani
Piove su questa terra foto

Gli imperi caduti,
Il vetro in frantumi
Gli echi malvagi del mio passato.
Ho visto tutto prima, è per questo che sto chiedendo.

Posso dare solo una possibilità in più secondo?
E mettere la mia fiducia in amore,
Per favore, non farmi del male.
Se mi faccio come una piuma in mano si
E mettere la mia fiducia in amore,
Per favore, non farmi del male.

Canto V. Inferno Dante

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,

«guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».
E ‘l duca mio a lui: «Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’ io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?».

«La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell’ è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ‘l Soldan corregge.

L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch’io ebbi ‘l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ‘ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.

«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’ io intesi quell’ anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’ io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

Divina Commedia, Inferno, Dante, Canto V

Al cor gentil rempaira sempre amore

Al cor gentil rempaira sempre amore è una poesia di Guido Guinizzelli ed il primo testo letterario della nuova tendenza poetica che nasce in Italia nella seconda metà del XIII secolo: il dolce stil novo. Quest’opera è considerata il manifesto programmatico ed esemplare dello stilnovismo. Per spiegare questa concezione dell’amore, Guinizzelli struttura la sua canzone come un vero e proprio trattato filosofico in poesia; utilizza numerosi esempi tratti dalla filosofia naturale, dalla scienza delle pietre preziose, dall’astronomia e infine, per imprimere alla sua idea d’amore un senso universale, dalla teologia. Il legame con la tradizione provenzale e siciliana è forte soprattutto nei francesismi (“Rempaira” per “ritorna” al v.1; “ausello” per “uccello” al v.2; “aigua” per “acqua” al v.26) e nel tema della venerazione dell’uomo verso la donna; tuttavia, la lode alla donna non è più per le sue fattezze umane, ma per quelle angeliche, le quali la rendono degna di lodi che spettano solo a Dio e alla Madonna (vv. 51-60). Questa è la grande novità degli stilnovisti: Guinizzelli introduce il tema della donna-angelo, che dona salvezza facendosi tramite dell’amore divino; tema questo che troverà la massima espressione poetica nel capolavoro dantesco.

….in lei posi amanza

Al cor gentil rempaira sempre amore

come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.
Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.
Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

Guido Guinizelli

 

 

Interno del Maggiolino

Copula mundi

“« [L’anima] … è tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori… per istinto naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l’altro e non sarebbe più la copula del mondo» La “copula mundi” è l’anima razionale che «ha sede nella terza essenza, possiede la regione mediana della natura» (obtinet naturae mediam regionem) «e tutto connette in unità». La sua opera unificatrice è resa possibile dall’amore, inteso come movimento circolare attraverso il quale Dio si disperde nel mondo a causa della sua bontà infinita, per poi produrre nuovamente negli uomini il desiderio di ricongiungersi a Lui. L’amore di cui parla Ficino è l’eros di Platone, che per l’antico filosofo greco svolgeva appunto la funzione di tramite fra il mondo sensibile e quello intelligibile, ma Ficino lo intende anche in un senso cristiano perché, a differenza di quello platonico, l’amore per lui non è solo attributo dell’uomo ma anche di Dio. Strumento dell’amore nel suo farsi portavoce dell’Uno è principalmente la Bellezza.”

Marsilio Ficino, 1433- 1499

Eros

Eros (dal greco antico ἔρως), tradotto genericamente con amore, non ha quelle connotazioni intimistiche attribuite al termine italiano. Il concetto antico di eros (tradotto in latino con CupidoAmor) è spesso associato all’attrazione sessuale ma anche, inteso come forza che tiene uniti elementi diversi e talora contrastanti senza arrivare ad annullarli, all’amicizia e, con la finalità di unire in un unico corpo sociale una moltitudine di cittadini, alla politica. Nel suo specifico significato filosofico eros è stato primariamente inteso come la forza vitale che muove il pensiero e la filosofia stessa, fungendo da tramite fra la dimensione terrena e quella sovrasensibile. Nel dialogo Liside Platone tratta l’argomento dell’eros inteso come quello che intercorre tra due amici: chi è l’amico, colui che ama o colui che riceve amore? Platone propende per il secondo caso ma non ignora le difficoltà connesse al problema. L’eros, inteso come amicizia, sfugge infatti sia al principio empedocleo per il quale il simile ama il simile sia a quello eracliteo per cui il contrario è amico del contrario L’eros allora esprime una situazione intermedia che trova spiegazione nel dialogo del Simposio. Eros è descritto, per bocca di Diotima, non come un dio ma come un dèmone,[6] un essere che si pone a metà strada fra ciò che è Divino e ciò che è umano, con la funzione di intermediare tra queste due dimensioni: un essere, sempre inquieto e scontento, identificato con la filosofia, intesa letteralmente come “amore del sapere”.[7] La peculiarità di eros è infatti essenzialmente la sua ambiguità, ovvero l’impossibilità di approdare a un sapere certo e definitivo, e tuttavia l’incapacità di rassegnarsi all’ignoranza. Secondo Platone infatti Eros è figlio di Pòros (Abbandonza, ricchezza, risorsa[9] e Penìa (Povertà): la filosofia intesa come eros è dunque essenzialmente amore ascensivo, che aspira alla verità assoluta e disinteressata (ecco la sua abbondanza); ma al contempo è costretta a vagare nelle tenebre di una sempre mai risolta ignoranza (la sua povertà).

Esterno del maggiolino

Biblioteca di Leonardo

La coppia

tulipani-tulipe-tulpe