Libri di Novarmonia

Invece quel pomeriggio dal cielo altissimo…

“Accadde che, a Parigi per un convegno, Marco Carrera si ritrovò a pensare a Luisa. Non che in quegli anni non ci avesse pensato, ci aveva pensato eccome, praticamente ogni giorno, ma si era sempre trattato di pensieri vaghi e rasseganti su ciò che avrebbe potuto essere e non era stato, estenuati dalla lontananza e ulteriormente illanguiditi ogni estate, in agosto, quando Luisa gli ricompariva davanti, a Bolgheri sulla spiaggia, col marito e i figlioletti -prima uno, poi due- lontana, ormai, lontana ogni anno di più dalla creatura che Marco aveva adorato nel periodo più tragico della sua vita. Invece quel pomeriggio dal cielo altissimo egli pensò a lei come a qualcosa di vicino, e di possibile, e le telefonò dall’Hotel Lutetia dove era alloggiato, durante una pausa del convegno. Fece uno dei suoi scongiuri romantici, che non funzionavano mai: se il numero non è più quello, o se non mi risponde, o se mi risponde ma non può vedermi, non la chiamerò mai più. Non funzionò,  perchè il numero era sempre quello, Luisa gli rispose al secondo squillo  e mezz’ora dopo entrava nel bar del Lutetia dove lui le aveva proposto di raggiungerlo -entusiasmante e intatta come se provenisse direttamente dal passato. Marco non la vedeva dall’agosto precedente, ma non ci parlava per davvero dai tempi in cui avevano smesso di scriversi, prima ancora che entrasse in scena Marina….Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare  la vita dei protagonisti con il suo nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati: è vero sempre ma soprattutto fu vero per loro, poiché dopo quel pomeriggio, sulla passeggiata lungo Rue d’Assas e quell’innocente conversazione, Marco e Luisa ripresero a frequentarsi, che nel loro caso significò tornare a scriversi, spesso, appassionatamente, ottocentescamente, come era successo fino a dieci anni prima e dopo non più. E questo non era innocente, proprio per nulla, perchè ora erano entrambi sposati, avevano entrambi dei figli, dovevano mentire. ”

tratto da: “Il colibrì”, Sandro Veronesi, ed. La nave di Teseo. ottobre 2019, pg. 135, 136