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Riflessioni Junghiane

” Dopo la malattia cominciò per me un fruttuoso periodo di lavoro: molte delle mie opere principali furono scritte solo allora. La conoscenza, o l’intuizione, che avevo avuto della fine di tutte le cose, mi diede il coraggio di intraprendere nuove formulazioni. Non tentai più di manifestare la mia opinione, ma mi abbandonai al flusso dei miei pensieri.   …Ma dalla malattia derivo anche un’altra cosa: potrei chiamarla un dir di “sì” all’esistenza; un “sì” incondizionato a ciò che è, senza proteste soggettive; l’accettazione delle condizioni dell’esistenza così come le vedo e le intendo; l’accettazione della mia stessa essenza, proprio come essa è. Al principio della malattia avevo la sensazione che vi fosse un errore nel mio atteggiamento, e che perciò in certo qual modo fossi responsabile io stesso dell’infelicità. Ma quando uno segue la via dell’individuazione, quando si vive la propria vita, si devono mettere anche gli errori nel conto: la vita non sarebbe completa senza di essi.  …. Fu solo dopo la malattia che capii quanto sia importante dir di sì al proprio destino. In tal modo forgiamo un io che non si spezza quando accadono cose incomprensibili; un io che regge, che sopporta la verità, e che è capace di far fronte al mondo e al destino. Allora fare esperienza della disfatta è anche fare esperienza della vittoria. Nulla è turbato -sia dentro che fuori- perchè la propria continuità ha resistito alla corrente della vita e del tempo. Ma ciò può avvenire solo quando si rinuncia  a intromettersi con aria inquisitiva nell’opera del destino.”

tratto da: “Ricordi, Sogni, Riflessioni” Carl Gustav Jung, raccolti da Aniela Jaffé, BUR Rizzoli